Le motivazioni della gravidanza tardiva

Oggi sempre più donne scelgono di avere figli dopo i 35-40 anni, in quanto la creazione di una famiglia non è più l’opzione alla realizzazione della coppia matura, bensì si configura come una necessità evolutiva di genere, anche grazie ad anticoncezionali, trattamenti per la fertilità, fecondazione in vitro e legalizzazione dell’aborto.

Le motivazioni a favore della maternità tardiva possono essere molteplici: innanzitutto, la coppia matura è più stabile e sicura ed è esplicito l’intento di entrambi i partner di dividersi nel lavoro domestico e nell’occuparsi del figlio, due aspetti molto importanti del processo decisionale rispetto all’intraprendere il percorso della genitorialità; inoltre, oltre i 40 anni le condizioni lavorative sono più vantaggiose: infatti, a carriera già avviata, l’autonomia economica è maggiore e lo stipendio più alto. Inoltre, va considerato che il lavoro a tempo pieno è difficilmente conciliabile con le necessità di un figlio, senza contare che spesso la donna perde il proprio posto di lavoro in conseguenza di una gravidanza, data la precarietà del mondo del lavoro: con un lavoro stabile e meglio avviato, forse questo è evitabile. Avere un figlio oltre i 35-40 anni comporta poi sicuramente una maggiore consapevolezza delle proprie risorse personali, cognitive ed emotive e una migliore strutturazione di un sistema coerente di regole nell’ambiente domestico: infatti, l’età materna superiore ai 27-30 anni è predittiva di una maggiore autosufficienza del figlio in età adulta. Un’altra motivazione può riguardare una più semplice elaborazione di una nuova identità, processo inevitabile quando si abbandona lo status di “figlia” per divenire “madre”: bisogna ridefinire il proprio assetto mentale, affrontare gravidanza e parto e annullare il sé (Inteso come tempo e spazio) in funzione della cura del figlio, abbandonando aspetti individualistici quali l’aspetto fisico. Si creano quindi sentimenti di ambivalenza tra orologio biologico (e sopravvivenza della specie) e psicologico (per difendere le aspirazioni identitarie), amplificati dalla cultura odierna che pone enfasi sulla giovinezza e sulla bellezza fisica, negando l’invecchiamento biologico. Avere un figlio più tardi può significare potersi esprimere al meglio quando si è più giovani, facendo esperienze altrimenti irrealizzabili.

Esistono però sicuramente anche degli aspetti a sfavore di una maternità tardiva, a cui si associano rischi di varia natura: le complicanze mediche, principalmente di tre tipi: aborto spontaneo, gravidanza ectopica (impianto embrionale in sedi diverse dalla cavità uterina), morte fetale tra la ventesima e la ventottesima settimana di gravidanza, riconducibili a anomalie cromosomiche, diabete gestazionale e preclampsia (sindrome con ipertensione, edema e proteinuria). Inoltre eventuali gravidanze gemellari (probabili in caso di fecondazione in vitro) possono comportare maggiori difficoltà di gestazione e parto; infine, sembrano collegate alla maternità tardiva malformazioni genetiche del bambino, quali la Sindrome di Down. Ma ci sono anche rischi psicologici e sociali: la maternità tardiva sembrano aumentare il rischio di depressione post-partum, probabilmente per le maggiori difficoltà affrontate nella vita e anche nella gravidanza stessa (per i motivi sopracitati); inoltre, potrebbero soffrire di mancanza di sostegno sociale, dati i pregiudizi della nostra cultura. Altri studi hanno collegato la maternità tardiva ad un aumento dell’ansia, intesa come paura di perdere il bambino o preoccupazione rispetto all’adeguatezza sociale come madri: infatti, spesso vivono pregiudizi da parte della comunità, ma anche da parte di amici e parenti; perciò queste madri temono di essere considerate egoiste a volere un figlio così tardi. Altre ansie riguardano la diminuzione di energia fisica e mentale e la possibilità di poter morire presto e non veder crescere i propri figli.

In definitiva, la decisione di una gravidanza tardiva deve essere presa liberamente dalla donna, che deve aver riflettuto su se stessa e sulle sue possibilità di offrire un adeguato futuro al bambino; anche decidere di non averne non deve essere considerato un impedimento alla realizzazione personale.

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