rabbia e oncologia

Le innovazioni farmacologiche rendono le malattie una volta mortali sempre più croniche e assume importanza il concetto di “qualità della vita”; è importante conoscere l’impatto emotivo della malattia per assicurare un corretto sostegno psicologico al paziente oncologico e alla famiglia. Williams e colleghi (2016) hanno indagato l’impatto della diagnosi sulla psicologia del paziente, dividendo il campione in base al tempo trascorso dalla diagnosi; essa ha comportato un declino della salute percepita, un aumento delle difficoltà quotidiane e punteggi di ansia e depressione maggiori dei controlli.

Lo studio ha dimostrato come questi punteggi non tornino mai ai livelli pre-diagnosi: la patologia impatta sul funzionamento psico-fisico a lungo termine e ciò conferma l’importanza del sostegno psicologico. Nel 2014 (Nikbakhsh et al.) sono stati esaminati 150 soggetti con cancro: il 32% ha ricevuto un punteggio indicativo di depressione clinica, il 40% subclinica; condizione di ansia clinica nel 22% dei casi, subclinica nel 44%. Linden e colleghi (2012) hanno studiato 10153 pazienti oncologici, rilevando depressione e ansia subcliniche nel 17% e 23% del campione, con livelli clinici nel 13% e 19% dei casi, confermando ancora una volta la necessità di uno screening continuo rispetto a questi tipi di psicopatologie.

Uno studio qualitativo (Stamataki et al., 2015) ha indagato area emozionale, effetti sulle relazioni, effetti funzionali e sistema di salute in pazienti con melanoma; sono emersi temi quali incertezza per il futuro e sentimento di impotenza; immagine corporea alterata per le; ripercussioni familiari, quali desiderio di non gravarvi e di mantenere un’autonomia; problemi funzionali quali dolore, stanchezza e spossatezza.

Elizabeth Kubler-Ross (1969) ha descritto le cinque fasi percorse dal paziente nella malattia terminale. La prima fase è la negazione nel momento della diagnosi, è un meccanismo di difesa per proteggersi dagli effetti della malattia, con l’intento di distanziarsi dalla prospettiva della propria morte; questa fase può persistere e irrigidirsi da necessitare un intervento psicologico.

Poi c’è rabbia, espressa direttamente su personale sanitario e famiglia o indirettamente come amarezza; spesso i pazienti ironizzano su ciò che non potranno più fare o sul loro deterioramento fisico.

La rabbia nasce dal chiedersi perché ciò stia capitando proprio a lui, con invidia per chi è in salute. Si passa poi alla trattativa, con la convinzione che se eseguirà atti moralmente etici avrà in cambio la salute; subentra poi la depressione, in cui si riconosce di poter fare poco per controllare la malattia: ciò coincide con un brusco calo dell’umore, un peggioramento dei sintomi, della stanchezza e dei dolori; è detta anche fase del “lutto anticipatorio”, in cui i pazienti assumono la prospettiva della propria morte e anticipano la perdita di relazioni. Ultima fase è l’accettazione, cioè la presa di coscienza della propria morte: il paziente è troppo stanco per essere arrabbiato e troppo abituato alla malattia per essere depressa; non sempre coincide con uno stato di calma, ma questa fase è caratterizzata dai preparativi alla morte, ad esempio come dividere i loro beni e passare gli ultimi momenti.

Le ripercussioni della malattia coinvolgono l’intera famiglia: il paziente può allontanarsi da essa e dalle interazioni, oppure può decidere di non parlare della malattia; la famiglia, d’altra parte, deve riorganizzare i ruoli in funzione del malato. Stenberg e colleghi (2010) hanno rilevato, in quasi 20.000 caregivers, i principali problemi: depressione, stanchezza, ansia, alterazioni del sonno e dell’appetito. I familiari possono divenire iperprotettivi e assumersi una responsabilità eccessiva: in questi casi è utile integrarli nel sostegno psiconcologico.

La percentuale di pazienti oncologici che ricerca supporto è bassa e anche gli operatori sanitari possono sottovalutare le difficoltà emotive: su 381 pazienti, solo il 25% delle donne desiderava sostegno oncologico, nonostante livelli di ansia e depressione fossero presenti nel 70% del campione; tra i maschi, il 10% cercava aiuto su 50% con segni di sofferenza psicopatologica. La maggior richiesta femminile può essere forse attribuita ad uno stile di coping più attivo, ma in generale i benefici del supporto psicologico erano evidentemente sottovalutati (Merckaert et al., 2009). Inoltre, i medici tendenzialmente rispondono a domande su prognosi e trattamento, molto meno alle richieste di supporto emotivo; anche i pazienti stessi pongono quesiti di carattere unicamente medico, poiché ritengono inopportuno coinvolgere il personale nei loro problemi. Sarebbe opportuno dare informazioni alle persone con la giusta sensibilità e coinvolgere il paziente al meglio.

È importante sensibilizzare il personale sanitario verso il distress del paziente oncologico: spesso è l’equipe che deve porre attenzione ai segnali e riconoscere i bisogni sottostanti alle reazioni emotive che osservano, lavorando in ottica biopsicosociale che include variabili psicologiche, sociali e biologiche. L’aspetto emotivo è sempre più importante, soprattutto nella malattia mortale e va accuratamente monitorato.

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